Declino DC - Democrazia Cristiana

PLURALISMO  PROGRESSO SVILUPPO
DEMOCRAZIA CRISTIANA
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Declino DC

IL DECLINO DELLA DC
LA FINE DEL COMUNISMO PROVOCO’ IL DECLINO E LA FINE DELLA DC.
 
Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e, due anni dopo, con il collasso definitivo del blocco sovietico è venuto meno un sistema di relazioni internazionali, imperniato sul bipolarismo Est-Ovest, con importanti riflessi nella vita politica interna degli Stati dell’Europa occidentale intorno all’asse comunismo-anticomunismo. Nell’immediato, questi eventi sono stati interpretati come un cambiamento epocale che sanciva una vittoria – politica, economica, culturale – del mondo occidentale. È stato, però, successivamente osservato che la Guerra fredda, iniziata in Europa, è finita sulle sponde del Pacifico; iniziata con forti connotazioni politico-ideologiche è finita anche per effetto di grandi trasformazioni economiche. E benché non si possa dire che lo scontro bipolare sia terminato direttamente a causa delle spinte venute da paesi fuori o ai margini dello scontro Est-Ovest, indubbiamente hanno influito molte novità importanti emerse all’interno dell’ex Terzo Mondo, in particolare dal Medio Oriente e dall’Asia. È il caso, ad esempio, dello shock petrolifero innestato dai paesi produttori arabi negli anni Settanta, che ha obbligato le economie occidentali a una profonda ristrutturazione delle proprie economie. Tale ristrutturazione, infatti, è stata una delle cause principali del collasso del sistema sovietico, sebbene abbiano influito anche altri fattori, come mostra il caso della Polonia, alle cui vicende negli anni Ottanta non sono stati estranei la Chiesa cattolica e, in particolare, Giovanni Paolo II.
 
La caduta del muro di Berlino ha avuto contraccolpi immediati sul sistema politico italiano. Nell’autunno 1989, il Pci ha avviato un percorso che ha portato, due anni dopo, alla nascita di due nuovi partiti, il Partito democratico della sinistra e Rifondazione comunista, mentre tramontava l’anticomunismo quale elemento fondamentale della politica italiana (molti elementi della cultura politica anticomunista, invece, sono sopravvissuti a lungo). Il 1989 segnò, cioè, la definitiva archiviazione del conflitto sistemico tra comunismo e anticomunismo innestato dallo scontro del 18 aprile 1948. Nell’immediato, la caduta del muro di Berlino rilanciò la prospettiva del bipolarismo immaginato negli anni Ottanta sulla base di un’alternativa tra Dc e Pci, ma allora impedito dalla persistenza del ‘fattore K’. Ripresero, perciò, con maggior vigore i tentativi di introdurre un cambiamento politico-istituzionale e anche una parte significativa del mondo cattolico si impegnò nell’iniziativa dei referendum elettorali. Ma l’immobilismo degli anni Ottanta aveva profondamente logorato il sistema dei partiti e la fine del blocco sovietico finì per penalizzare più gli anticomunisti che i comunisti.
 
Questo esito paradossale si spiega con l’emergere, dopo il tramonto del ‘vincolo esternò, di dinamiche interne già in atto da tempo ma frenate dalla permanenza del ‘fattore K’. Non a caso, l’abolizione delle preferenze multiple, a seguito del referendum del 1991, suonò come una vittoria della società civile contro il ‘sistema dei partiti’. Si trattò, in particolare, di una sconfitta politica di Craxi che aveva invitato gli elettori a disertare le urne. La crescente insofferenza verso i partiti politici mutò così, in modo inatteso, i termini della lunga contesa per l’egemonia a sinistra. Gli ex comunisti, infatti, riuscirono a far leva sulla ‘diversità morale’ del Pci per intercettare la protesta anti-sistema che veniva dalla società civile. Anche la Dc cominciò a essere colpita dall’iniziativa degli ex comunisti. La sua lunghissima permanenza al governo fu sottoposta dagli eredi del Pci a un ‘processo’ che denunciava il carattere scarsamente nazionale e democratico di una politica eccessivamente subalterna agli Stati Uniti e alla Nato, come emerse nella discussione su Gladio. Dopo aver sorprendentemente contenuto i contraccolpi devastanti del crollo sovietico, gli eredi di Togliatti e Berlinguer cercarono di rileggere a loro vantaggio la storia della Guerra fredda. Su questa strada, però, essi finirono per oltrepassare la critica della diga anticomunista e della conventio ad exludendum dopo il 1948, mettendo indirettamente in discussione anche il ‘patto’ del 1945 tra i grandi partiti di massa e la collaborazione, reciprocamente legittimante, dell’Assemblea costituente. La prospettiva di un bipolarismo basato sull’alternativa tra Dc e Pci o sui loro eredi si dissolse così rapidamente, subito dopo essere entrata nell’orizzonte delle cose possibili.
 
La fine della rendita anticomunista fece emergere la disaffezione soprattutto dell’elettorato settentrionale della Dc, che si rivolse in modo significativo al movimento politico fondato da Umberto Bossi, premiato da un sorprendente successo nelle elezioni politiche del 1992. Ma in quelle elezioni, questo partito fu ancora in grado di sfiorare il 30% dei consensi: malgrado la fine della tradizionale funzione di ‘diga anticomunista’, gli elettori continuavano a guardare con fiducia alla Dc, ancora impegnata in molteplici funzioni di governo, sia a livello nazionale che locale. La situazione precipitò dopo le elezioni politiche del 1992, non a causa del responso popolare ma soprattutto per l’iniziativa di soggetti diversi che svilupparono un’azione non preliminarmente coordinata ma convergente. Lo sviluppo dell’inchiesta ‘Mani pulite’ della magistratura, in relazione a Tangentopoli, pur colpendo inizialmente soprattutto il Partito socialista, cominciò presto a raggiungere un numero crescente di esponenti della Dc (mentre il Pci ne fu toccato solo limitatamente). Intanto, accuse di collusione con la mafia vennero rivolte a una figura simbolica dell’intera parabola democristiana, Giulio Andreotti – successivamente assolto da tali accuse, salvo che per vicende cadute in prescrizione – dopo che furono assassinate personalità di primo piano della lotta contro la mafia, come i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Processi per corruzione e processi per mafia si saldarono a una sorta di processo politico al cinquantennio democristiano nel suo insieme. Giunse così al suo culmine un movimento iniziato, a livello di opinione pubblica e di società civile, negli anni Settanta, con la cosiddetta ‘questione democristiana’ e, proseguito, negli anni Ottanta, intorno a una ‘questione morale’ che colpì politicamente la Dc.
 
Anche a causa delle sue divisioni interne, il partito nel 1992 subì un grave smacco, non riuscendo a proporre un candidato vincente alla Presidenza della Repubblica, cui fu poi eletta – per iniziativa dei radicali, fin dagli anni Settanta principali avversari della ‘partitocrazia’ di cui la Dc era considerata il cardine – una figura istituzionale, il presidente della Camera Oscar Luigi Scalfaro: seppure anch’egli democristiano, non fu eletto quale espressione della Repubblica dei partiti e ha poi svolto un ruolo cruciale nella transizione verso un diverso sistema politico-istituzionale. Ancora una volta, dopo le elezioni del 1992, la Dc venne chiamata a sostenere il nuovo esecutivo, guidato – in alternativa a Craxi, già colpito dallo scandalo di Tangentopoli – dal socialista Giuliano Amato. Tuttavia, pur costituendo anche in questo caso il principale partito di governo, la Dc iniziò a sperimentare un isolamento politico-culturale sempre più acuto. Per permettere un rinnovamento del partito, nel settembre 1992, Forlani si dimise dalla segreteria del partito e – ‘per disperazione’, secondo le parole del nuovo segretario – gli subentrò Mino Martinazzoli. Esponente tra i più noti e stimati della sinistra democristiana, subito dopo la caduta del muro di Berlino egli aveva rilanciato la prospettiva di un rapido passaggio a un sistema bipolare, all’interno del quale la Dc non fosse più ‘obbligata a governare’. Ma quel bipolarismo, come si è detto, era già tramontato e il tentativo di Martinazzoli fu segnato fin dall’inizio da un’incertezza di prospettive politiche.
 
Il rilancio del partito tentato dall’ultimo segretario della Dc si imperniò soprattutto su un profondo rinnovamento morale: a differenza di quanto aveva fatto Moro nel 1977, egli non difese gli inquisiti e non si oppose all’opera della magistratura. Ma questo atteggiamento non apparve sufficiente e Martinazzoli fu travolto dalle pressioni per un radicale azzeramento della classe dirigente del partito, non trascurabile elemento di continuità della storia democristiana e della stessa identità del partito. Malgrado i tentativi del segretario, la Dc continuò a perdere consensi nel mondo cattolico mentre diventava sempre più acuta la contestazione dell’unità politica dei cattolici, secondo molti funzionale alla difesa del ‘vecchio’ contro un ‘nuovo’ peraltro non ben definito. La Dc, dopo aver già perduto pezzi importanti della sua centralità – come quelli introdotti dalle svolte del 1945, del 1947 e del 1948 – finì per tornare a misurarsi con il suo elemento originario: il rapporto con la Chiesa e con il mondo cattolico. Martinazzoli cercò, infatti, di intercettare le aspettative di questo mondo, molte espressioni del quale si riconoscevano nell’insofferenza della società civile per il sistema dei partiti. Dopo l’esito del referendum elettorale dell’aprile 1993, favorevole al sistema uninominale e maggioritario, nell’assemblea programmatica costituente del partito, nel luglio 1993, Martinazzoli prospettò una profonda discontinuità rispetto al cinquantennio precedente e una radicale trasformazione della formazione politica, evidenziata dal cambiamento anche del nome. Lanciò, infatti, l’idea di un ritorno alle radici ideali e storiche del Partito popolare e la trasformazione da ‘partito delle tessere’ a ‘partito di programma’, fondato sul valore cristiano della solidarietà: si doveva inaugurare, egli disse, una ‘terza fase storica della tradizione cattolico-democratica’.
 
Ma, dal Ppi alla Dc, il cattolicesimo democratico si era sempre sviluppato in collegamento con un’opzione antifascista. Invece proprio nel corso del 1993 venne meno un ulteriore elemento del sistema politico, particolarmente rilevante per il ‘partito dei cattolici’: dalla fine dell’esclusione a sinistra nei confronti dei comunisti si aggiunse anche la fine dell’esclusione a destra delle forze che si richiamavano all’esperienza fascista. Nelle elezioni amministrative di Roma, la partita per il sindaco si giocò tra Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, segretario del Movimento sociale, ‘sdoganato’ in quell’occasione da Silvio Berlusconi, prossimo al suo ingresso nell’arena politica. Nel nuovo sistema bipolare che si stava delineando, a fronteggiarsi emergevano, a destra e a sinistra, due schieramenti principali, convergenti verso il centro ma senza esclusioni delle estreme. Nelle elezioni amministrative del 1993, la Dc si ritrovò in una posizione marginale e subalterna, raccogliendo solo l’11% dei voti, circa un terzo di quelli raccolti nelle politiche dell’anno precedente. Nel corso dell’anno, il partito perse 600.000 iscritti soprattutto in Italia settentrionale, abbandonando la struttura di partito tradizionale e assumendo alcuni aspetti di un movimento di opinione.
 
Il rinnovamento avviato da Martinazzoli giunse a termine con la fondazione, il 19 gennaio 1994, del Partito popolare, ma buona parte del gruppo dirigente democristiana non confluì nel nuovo partito. Tuttavia l’epilogo definitivo della parabola democristiana è venuto con le elezioni politiche del 1994, quando il Partito popolare raccolse nuovamente solo l’11% dei consensi (insieme ad altre forze, nel Patto per l’Italia, raggiunse invece il 16%), mentre un nuovo partito, Forza Italia, fondato da Silvio Berlusconi, riceveva il 21% dei voti15. Il successo di Forza Italia evidenziò il distacco dei moderati, che votavano tradizionalmente democristiano, dagli eredi della Dc e la nascita, per la prima volta nella storia repubblicana, di una formazione di centro-destra non più a guida cattolica, in grado di conquistare la maggioranza relativa dei consensi. Malgrado il voto di numerosi elettori ex democristiani e la confluenza nel nuovo partito di molti politici provenienti dalla Dc, Forza Italia ebbe fin dall’inizio caratteristiche molto diverse. La fine del ‘partito cattolico’ fu recepita anche dalla Chiesa. Sebbene la Conferenza episcopale avesse continuato a sostenere l’unità dei cattolici, non si trovò impreparata davanti alla sua fine: già nel settembre 1994 il card. Ruini lanciò il Progetto culturale orientato in senso cristiano e nel 1995, al Convegno della Chiesa italiana che si tenne a Palermo, Giovanni Paolo II indicò ai cattolici la linea del distacco e dell’equidistanza dalle forze politiche.
 
La Dc non è finita subito dopo la fine del comunismo in Europa e non è finita solo a causa di questo. Il partito di De Gasperi è stato fondato prima dell’inizio della guerra fredda e con uno scopo più ampio di quello di fermare il comunismo: è nato, infatti, ereditando problemi nodali della storia unitaria, come l’antica estraneità dei cattolici alla vita dello Stato, la crisi delle istituzioni liberali, l’inquinamento totalitario del fascismo. La Dc si è proposta di superare gli storici steccati tra guelfi e ghibellini, di portare i cattolici dal fascismo alla democrazia, di costruire un nuovo sistema politico basato sui partiti di massa, di realizzare un’alleanza tra ceti produttivi e strati popolari. A tali obiettivi si è poi aggiunta la funzione di diga anticomunista. Nel corso di un cinquantennio, la Dc ha raggiunto gran parte di ciò che si proponeva ma, anche a motivo della sua azione, il paese è intanto profondamente cambiato. Sono sorti nuovi problemi e nuove sfide che il partito non è stato in grado di affrontare e risolvere. In particolare, globalizzazione e consumismo hanno incrinato il rapporto tra ceti produttivi e masse popolari mediato dai cattolici e suscitato questioni etico religiose in precedenza sconosciute. La Dc non è riuscita a sintonizzarsi con l’evoluzione del mondo cattolico e della società civile suscitata dalle trasformazioni in corso. Il crollo del blocco comunista non è stata la causa della sua fine ma ha fatto venir meno una sorta di ‘copertura’ che ha permesso a lungo di evitare problemi sempre più decisivi. Terminata la funzione di ‘diga anticomunista’, spinte e movimenti in atto dagli anni Settanta e dagli anni Ottanta hanno travolto la Prima repubblica. Ma intanto la situazione era ulteriormente cambiata: proprio perché le cause della fine della Prima repubblica vengono da lontano, sulla nascita della Seconda hanno pesato più i problemi del passato che le prospettive per il futuro.


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